f a b i o g u e r r a
note critiche
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Come
in un immaginario restauro, il suo processo creativo evolve spesso sul
filo del tempo, a ritroso dal presente al passato, per rievocare significati
perduti alla maniera di una metafora, metamorfizzando oggetti disparati
oppure formulando un estemporaneo quanto criptico idioma di segni, alla
ricerca di simboli e messaggi da ricondurre al nostro incerto presente.
Si innerva idealmente nel concetto di tempo una parte rilevante delle
sue realizzazioni: sono i calchi in porcellana di piccoli attrezzi in
disuso trasformati in microriflettori evanescenti o le rielaborazioni
enormemente dilatate, in carta rigida di antichi manufatti restituiti
alla completezza originaria partendo da un frantume.
Guerra vede in ogni coccio il frammento di una pagina di storia velata
dalla polvere dei secoli, da ricomporre per offrirne una rinnovata lettura.
Resy
Amaglio, giornalista e curatrice di mostre.
Gusci
dalla forma ancestrale, forma-madre d’origine, monocroma, atona,
bianca, a forme bipartite in cui parti dipinte si alternano a parti vuote
– in cui elemento portante è il tipico intervento che Guerra
fa sui reperti di ceramica antica, in cui circonda il frammento sopravissuto
appunto di vuoto, smascherando l’inganno di una ricostruzione. Oggetti
completamente dipinti la cui timbrica rinvia tuttavia ancora a elementi
consunti dal tempo: le muffe, le ruggini, i toni appunto giallastri, ocra
che segnano l’erosione del ferro. E anche in questo caso le combinazioni
timbriche sembrano nascere in parte da sé, mimando in qualche modo
un aspetto tipico di certe lavorazioni, di certa ceramica, in cui il controllo
dell’artista sul prodotto è parziale, in cui l’artista
mette in moto un processo di cui il risultato è comunque in parte
aleatorio. La necessità del caso in qualche modo, e d’altra
parte la stessa tecnica con cui questi gusci vengono costruiti rinviano,
questa volta in un’ottica verticale, alla forma del palinsesto:
strati sovrapposti dipinti progressivamente su una matrice base. Questo
elemento ricorrente, forma profonda, da cui scatta secondo due linee,
come abbiamo visto, in orizzontale e in profondità, qualcosa che
è ombra, simulacro di uno schema direi quasi ritmico ancestrale,
è un aspetto fondamentale nella poetica di Fabio Guerra e lo possiamo
ritrovare con facilità in quegli oggetti base illuminati da una
luce interna che ne rovescia, direi, in qualche modo il senso: oggetti
d’uso acquistano un valore segreto e fantasmatico. Da una parte
troviamo dunque un’immagine che tende ad annullare la sua pregnanza
materiale: il bianco, il nero, appunto la silhouette, dall’altra
un’immagine che si carica di segni, in cui si addensano stratigrafie
che sembrano alludere ad un continuo movimento dell’opera, all’attrazione
di uno schema profondo, da cui si sviluppano opere-testi che sono poi
epifanie di altri oggetti. È molto interessante in sé questa
prospettiva e le opere esposte sono lì a dimostrarlo, anche qui
vive in qualche modo la funzione artigianale dei mestieri, appunto la
serie, il multiplo, ma non si aggancia precisamente ad una società,
a un ambiente, ma piuttosto ad un nucleo profondo, astratto, formale,
se possiamo pronunciare questa parola con un minimo di coerenza. Anche
i quadri, spesso molto affascinanti, rinviano alla forma di una scrittura,
qualcosa che sta sotto e che agisce riproponendo reticoli, costruzioni,
anche molto diverse tra di loro, ma che sempre sembrano alludere e rinviare
ad una figurazione ricorrente
Prof.
Marco Praloran
Le
matrici che Guerra genera costituiscono una sorta di laboratorio artistico
in progress: un laboratorio nel quale si attuano esperimenti, si provocano
forme e sostanze che a loro volta generano immagini, tracce, impronte.
L’artista provoca le reazioni alchemiche ed assiste come parte del
processo sperimentale all’evoluzione dei grafemi sui fogli.
Impronte sono i lacerti di carta trattata con colle, con colature di sostanze
cerose, modulate da frottage di cortecce che s’ intravedono negli
scudi tronco-conici generati da matrici di gesso.
Ancora, gli esiti delle matrici, si sono evoluti in forme autonome che
mantengono l’impronta genetica primitiva provocandone tuttavia una
trasmutazione. Gli effetti di questa genesi evolutiva sono percepibili
attraverso la materia, un aspetto che caratterizza l’opera di Guerra
fin dagli esordi. Così luci radenti evidenziano carte più
o meno ruvide, macchie lucide e opache, segni sgranati o netti, neri assoluti
o tonali, bordi sfrangiati richiamano stampe tipografiche, reperti di
mappe topografiche emergono da un intrico di segni a grafite.
Arch.
Franco Stefano Toniolo
Guerra,
nei suoi lavori, parte dalla libertà della materia ed interviene
in essa senza compiacimento edonistico, forse con spirito alchemico, ma
soprattutto con estrema raffinatezza pittorica.
Non si tratta di frammenti di realtà. Oggetto della sua ricerca
sono piuttosto i momenti impercettibili di una esperienza umana con ciò
che è materia, attraverso rimandi culturali meditati e rielaborati
nell’ operazione artistica di natura informale. Reperti organici
e stratificazioni materiche vogliono essere indicativi nella pluralità
di livelli espressivi entro cui opera.
Dott.ssa
Paola Morsiani
curatrice di Contemporary Arts del Cleveland Arts Museum (USA)
FRAMMENTI
Opere su carta e ceramiche di Fabio Guerra
L'esperienza
artistica di Fabio Guerra si forma, ancor prima che all'Accademia di Belle
Arti di Venezia, nell'allora prestigiosa sezione ceramica dell'Istituto
d'Arte di Nove (Vicenza).
Alla ceramica egli rivolgerà costantemente il suo interesse e ancor
oggi essa viene esplorata nelle sue più svariate possibilità
tecniche di lavorazione: dai refrattari alla maiolica, dalla porcellana
al raku e persino nel restauro di opere antiche.
Oltre a essere rimasta una costante della sua produzione, l'esperienza
ceramica ha avuto importanti ricadute sul suo operare artistico. La concavità
di tutte le sue opere, e dei Gusci in modo particolare, la richiama direttamente.
Si tratta di lavori pazientemente costruiti incollando diversi strati
di fogli di carta contrapposti in modo alternato tra loro. In questa lenta
procedura viene recuperato il rituale manuale e ripetitivo dell'artigiano.
Questo modus operandi è per l'artista importante tanto quanto l'oggetto
finito.
La fase pittorica vera e propria inizia una volta che il manufatto viene
staccato dalla matrice in metallo che gli dà forma. Talvolta la
pittura viene eseguita direttamente sulla superficie dell'ultimo strato,
utilizzando sempre tecniche miste (olio, acrilico, grafite, carboncino,
terre colorate e inchiostro), talaltra incollando dei frammenti di carta
precedentemente dipinti.
La pittura di Guerra spesso rammenta le pennellate dell'Informale gestuale,
che a Venezia ebbero in Emilio Vedova uno dei suoi massimi esponenti internazionali.
Proprio nella locale Accademia, Vedova lasciò un'eredità
tangibile negli allievi anche non suoi. Essi svilupparono e sperimentarono
in modo libero, e nei più disparati ambiti artistici, pratiche
e modalità tecniche suggestionate e riconducibili alla sua esperienza
artistica.
Nelle pennellate di Guerra, tuttavia, la casualità è sempre
controllata, sia da una pratica ormai consolidata, sia dalla conoscenza
del comportamento dei singoli materiali utilizzati. Tale casualità
non è erede delle pratiche dissacranti della tradizione dadaista,
né delle pennellate dinamiche futuriste né, tanto meno,
del liberatorio automatismo psichico di matrice surrealista. Di fondamentale
importanza è stata l'esperienza derivante dalla meticolosa ricerca
e dallo studio di cocci e reperti ceramici antichi, ai quali si è
dedicato con vera passione. Alla conoscenza e alla pratica della ceramica
raku, invece, sono riconducibili i colori da lui scelti e ottenuti dai
medesimi ossidi: di manganese, ferro, rame e cobalto, dai quali derivano
le molteplici sfumature di marrone, giallo, ruggine, verde o blu.
All'esperienza dell'incisione è collegabile il pannello dove compaiono
impronte sovrapposte di sottili garze di lino sulle quali egli ha steso
con il rullo l'inchiostro calcografico. Questo pannello è costruito
allo stesso modo dei Gusci, ma qui, più che altrove, spiccano maggiormente
le spiegazzature dei fogli incollati e, di conseguenza, vengono accentuati
i valori tattili determinati dalla rifrazione della luce sulle increspature
della superficie bianca.
L'uso del frammento, da Guerra particolarmente praticato, è sempre
legato alla sua esperienza nell'ambito del restauro filologico delle ceramiche
antiche, dove i cocci appaiono come piccoli inserti nel manufatto ricostruito
con gesso lasciato al suo colore neutro. In questo modo il frammento spicca
isolato e viene esaltato all'interno dell'aureola monocroma che lo circonda.
Il suo linguaggio pittorico è decisamente astratto, ma talvolta
esso sembra evocare dettagli ingigantiti di elementi naturali o materie
rapprese: ruvide cortecce, licheni, muschi, opalescenti onde in movimento
e persino cieli.
I Gusci Neri sono eseguiti con una tecnica diversa. In essi vengono utilizzati
la pittura ad olio, la tempera, l'acrilico e il carboncino polverizzato.
La polvere nera viene strofinata sulla superficie della carta con il palmo
della mano, in modo da ottenere un effetto vellutato. Ne risulta oltremodo
esaltato l'aspetto materico e tattile. Il nero profondo così ottenuto
assorbe a tal punto la luce da annullare la concavità dell'oggetto
e bisogna avvicinarsi molto per riuscire a percepire la texture dei vari
fogli con i quali l'opera è costruita. L'effetto vellutato del
carboncino sulla tempera si contrappone all'effetto traslucido ottenuto
sull'acrilico, quest'ultimo viene steso con un piccolo pennello in modo
da lasciare scoperte, cioè “a vista”, le traiettorie
delle pennellate. Sul nero dell'acrilico la luce crea riverberi argentati
che ricordano gli iridescenti lustri della ceramica islamica.
I colori cupi producono un'atmosfera plumbea e notturna, ma in realtà
tutte le opere di Guerra sono leggerissime, anche quelle con il supporto
di alluminio.
In questa mostra sono esposti pochi ma significativi esemplari di ceramica.
Due lastre eseguite con la tecnica del raku giapponese, chiamate Cortecce
poiché il refrattario presenta quell'analoga rugosità granulosa,
che poi è stata rivestita da colature di smalti e ossidi. Anche
qui è presente l'idea del frammento.
Zattera è una grande installazione costituita da 9 pannelli di
maiolica bianca collocati a terra, dove le mutevoli vibrazioni della luce
accentuano il valore tattile della materia traslucida.
Dittico è un'opera composta da due piccoli pannelli bianchi rettangolari
affiancati in modo da giocare sull'opposizione lucido/opaco. In uno di
essi è incollato un piccolo ritaglio di carta dipinta, che risulta
ovviamente esaltato dal contesto monocromo che lo circonda: un esplicito
riferimento all'esperienza di restauro.
Carmen
Rossi
Roma, settembre 2011
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